Opinione: Croste, di Jessica La Fauci


Nina rifiuta l’avanzare del tempo: i corpi in corsa verso il disfacimento, le pesche marce, l’intonaco che si sfalda. Eredita una cantina ma non sa che farsene di quella stanza stipata di scaffali che arrugginiscono. Ci trova dentro scarti, memorie fisiche e psichiche che non le appartengono, ma che portano il suo stesso corredo genetico. Nina ha perso un amico, una gatta, un ragazzo e soprattutto il senso della continuità; eredita la cantina come si eredita una mancanza. Nina ha la testa piena di parole che non riescono a comporre la risposta ai suoi tanti interrogativi, né a identificare un momento da cui far partire il tutto. In una vita in cui gli inizi sono il momento più felice, c’è sempre un prima, a volte mai vissuto, a cui si dovrebbe guardare con nostalgia. Usando una scrittura affilata e cristallina La Fauci costruisce una trama frammentata, in cui frantumi di vita diventano oggetto di un’analisi quasi clinica, rivelando l’estraniazione della protagonista nei confronti dell’esistenza. Croste è un processo di bonifica, un libro sulle cose che marciscono, le cose di cui non ci si è presi cura, la lacuna che deve essere abitata. 




Libro totalmente fuori dalla mia capacità di capirlo e parlarne. 
Mi incuriosiva molto la trama e, trovandolo usato, mi ci sono lanciata senza indugiare.
Il problema è arrivato durante la lettura.
Non che sia brutto, ma è molto molto particolare.

Ci troviamo nella vita di Nina, una donna che ci regala frammenti dei suoi ricordi senza una logica, senza una sequenza temporale. Ci sentiremo a disagio e allo stesso tempo (se siete come me) compresi da questo modo di vivere fuori dagli schemi.

Perché a Nina non importa degli altri. Non è cattiva: lei sta stare da sola. 
Lo ha imparato da sempre, fin da piccola. 
Occupa poco posto, non si intromette, si scansa ed evita tante situazioni. 
Riflette molto e parla poco. Vive ai suoi ritmi e nelle sue "stranezze". 

Ci racconta pezzi di sé, confusamente, caoticamente, portandoci a faticare per starle dietro.
Si alternano quattro parti, in cui prendono parola anche quelli che sono i suoi migliori amici, che la vedono così strana e particolare, eppure nonostante a volte provino fastidio per questo, le vogliono bene. Non sarebbe lei se fosse diversa, più attenta, più "banale". 
Amici che hanno seguito percorsi più lineari, convenzionali: lavoro, matrimonio, casa, figli,... Mentre lei non sente pressioni e si ferma alle piccole cose, quelle a cui non bada nessuno.

Un romanzo estremamente breve, seppur difficile.
Non saprei come classificarlo.
Ammetto di aver faticato nel leggerlo, seppur mi sentivo rappresentata in parte da questa figura così particolare. Lento, caotico, confuso.
Fatico sempre con questi generi di letture, seppur mi affascino molto. 
Difficile collocarli, difficile capirli. 
Nonostante lascino alle spalle qualcosa che ti sementa dentro.  

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