«Ma Buck non era un cane casalingo, e neppure un cane da canile; suo era l'intero regno.»
Sullo sfondo del Grande Nord americano, al tempo della leggendaria corsa all'oro, il cane Buck, sottratto alla fattoria del giudice Miller, è costretto a piegarsi alla legge primitiva e violenta dei cercatori che lo mettono al traino delle slitte. Sopraffatto dagli stenti e dalla fatica si risveglia in lui sempre piú forte un istinto atavico che lo spinge verso la foresta e la vita selvaggia strappandogli l'inarticolato grido della lotta per l'esistenza.
Già parlare di romanzi che mi sono piaciuti mi è difficile. Con London è atroce.
Impossibile darvi un idea della sua bravura nel descrivere. Dagli ambienti selvaggi, così vividi nella loro rappresentazione nel farti sentire la neve che ti cade attorno e il profumo della natura.
La vita di un cane vista attraverso i suoi occhi, i suoi sensi, i suoi pensieri, mescolata abilmente con quella degli umani che incroceranno il suo percorso.
Da quelli gentili, a quelli spietati, quelli stupidi e quelli generosi.
Un crescendo in cui Buck dovrà imparare a sopravvivere scoprendo, anche a caro prezzo, le leggi non scritte della sua specie che gli permetteranno di superare giornate di lavoro impegnative e notti gelide all'aperto, con pasti miseri al sostentamento.
Un libro doloroso che spacca il cuore spesso, alternandolo a capitoli in cui te lo gonfia.
Un'altalena di emozioni estenuante ma straordinaria.
Se lo iniziate, portatelo a termine, non abbandonatelo nei momenti più dolorosi, questo è l'unico consiglio che mi sento di darvi.
Anzi, no, ci ho ripensato.
C'è un altro consiglio spassionato che mi sento di dare: iniziate a leggere i romanzi di London.
Senza troppi "se": quando sentite un minimo di curiosità e/o attrattiva, lanciatevi fra le pagine di un suo romanzo.
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