Opinione: Le intermittenze della morte, di José Saramago

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Un Paese senza nome, 31 dicembre, scocca la mezzanotte. E arriva l’eternità, nella forma più semplice e quindi più inaspettata: nessuno muore più. La gioia è grande, la massima angoscia dell’umanità sembra sgominata per sempre. Ma non è tutto così semplice: chi sulla morte faceva affari per esempio perde la sua fonte di reddito. E cosa ne sarà della Chiesa, ora che non c’è più uno spauracchio e non serve più nessuna resurrezione? I problemi, come si vede, sono molti e complessi. Intanto la morte, con fattezze di donna, segue i suoi imprendibili ragionamenti: dopo sette mesi annuncia, con una lettera scritta a mano, affidata a una busta viola e diretta ai media, che sta per riprendere il suo usuale lavoro, fedele all’impegno di rinnovamento dell’umanità che la vede da sempre protagonista. Da lì in poi le lettere viola partono con cadenza regolare e raggiungono i loro sfortunati (o fortunati?) destinatari, che tornano a morire come si conviene.
Ma un violoncellista, dopo che la lettera a lui indirizzata è stata rinviata al mittente per tre volte, costringe la morte a bussare alla sua porta per consegnarla di persona… Una grande creazione fantastica, nella migliore vena del grande premio Nobel portoghese.

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Sinceramente fatico a trovare le parole per parlarvene.
Con Cecità Saramago mi aveva stregato. Ero rimasta incantata dalla storia e dal suo stile, che mi sono rimasti nel cuore. Così ho deciso di affrontare un altro suo romanzo, che mi incuriosiva da tempo, ma sono rimasta molto delusa.
La lettura è ardua, per il suo stile particolare, ma da metà in poi crolla anche la storia e il tutto diventa davvero pesante.
La premessa è interessante: cosa succederebbe se un giorno la morte scomparisse?
Ed è quello che accade in un Paese (inventato dallo scrittore) dove dal 1 gennaio nessuno muore più.
Gioia e tragedia si mescolano in fretta, poiché è vero che si può essere immortali e non temer più la fine della propria esistenza, ma il corpo non smette mai di invecchiare.
I moribondi restano fermi nel limbo, i vecchi vengono quasi ammucchiati nelle case di riposo, gli ospedali non sanno più dove mettere la gente che arriva, le pompe funebri si ritrovano senza lavoro,...
Insomma, il Primo Ministro di quel Paese si trova alle prese con un problema enorme, mentre nel resto del Mondo tutto procede inalterato.
Di tutto questo se ne parla per metà romanzo, vedendo ed affrontando i problemi pratici, ma anche quelli filosofici e/o spirituali.
Da metà in poi qualcosa cambia, perché la morte decide di mandare una lettera ad un giornalista, spiegando i motivi che l'hanno spinta a questa pausa ed avvertendo che tornerà a fare il suo lavoro, ma con un piccolo cambiamento, infatti chi dovrà morire riceverà una lettera per posta sette giorni prima, così da potersi preparare sistemando per tempo tutti i propri affari.
Ovviamente si crea il caos, ma la morte continua così fino a quando una lettera non le torna indietro....ed è da qui che la trama precipita!
Se fino a quel momento era interessante, nonostante la trama ardua in alcuni punti, ma da quel punto si entra in un "non-sense" che ti fa chiedere se l'autore avesse finito le idee e abbia improvvisato.
Carina l'ultimissima frase del romanzo, che da un briciolo di senso al tutto, eppure non basta per spiegare quella storia che sembra totalmente estranea a tutto quello narrato fino a poco prima.
Mi spiace, ma è stata un'enorme delusione.

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