Blogtour: Nona Grey. La Trilogia. Titan Edition, di Mark Lawrence - Ambientazione

 

Benvenuti, spero che siate davvero curiosi riguardo questa novità uscita da pochissimo grazie alla Mondadori. Un edizione enorme che contiene la trilogia completa "Nona Grey". 
Un azzardo o una scommessa vincente? Sicuramente sarà apprezzato per la possibilità di esser letto tutto d'un fiato da chiunque...Ma sto andando fuori tema, partiamo dalla trama del romanzo: 


Nel convento della Dolce Misericordia si allevano fanciulle per trasformarle in devote quanto pericolose assassine. Ci vogliono dieci anni di formazione, ma sono poche le ragazze dotate di vero talento per la morte, quelle nelle cui vene scorre il sangue delle antiche tribù di Abeth. Compito delle monache è scoprire e affinare queste doti innate, insegnando le tecniche della lotta con e senza armi e dello spionaggio, l'uso dei veleni e infine la tessitura delle ombre. Ma neppure le sorelle più anziane sono in grado di comprendere fino in fondo la potenza del dono di Nona Grey, una bimba di otto anni che giunge al convento con l'accusa di aver compiuto un omicidio. Qui crescerà, ma non sarà facile per lei scegliere quale cammino seguire: indosserà la tonaca nera delle Spose dell'Antenato, per abbracciare una vita di preghiera e servizio? Vestirà il rosso delle Suore Marziali, esperte nel combattimento, o il grigio delle Suore di Discrezione, imbattibili nelle arti della segretezza? O il suo colore sarà il blu delle Suore Mistiche, capaci di percorrere il Sentiero? Quale che sia il suo destino, dovrà lottare aspramente per conquistarlo.


Fortunatamente per i miei gusti, Lawrence non si perde in descrizioni estremamente minuziose che appesentirebbero la lettura. Sfortunatamente la mia tappa, riguardante le ambientazioni del romanzo, risulta più difficile da creare. Ma cercherò di fare del mio meglio per darvi un'idea di cosa potete aspettarvi, senza però entrare troppo nei dettegli per non rovinarvi alcune cose che dovrete scoprire leggendo. 

Ho immaginato un mondo davvero scuro, povero, freddo. La protagonista è giovanissima ma ha già provato la fame, la sua pelle è temprata dal gelo, e la sua vita non sembra aver alcuna prospettiva. Tutto finchè non viene notata dalla Badessa del Convento della Dolce Misericordia, che la salva dalla forca, accusata di omicidio, per portarla al Convento e, se lei lo vorrà, sarà l'inizio della sua istruzione.
Durante il breve viaggio, la ragazza ci da uno scorcio della cittadina che sta lasciando e ci da un'idea del mondo in cui è ambientato il romanzo: 

La strada era intasata di gente, ma la badessa si aprì un cammino zigzagando nel folto della folla. Nona la seguì, così vicina da sfiorare le code svolazzanti della tonaca da suora. La calca la innervosiva. Non aveva mai visto tanta gente nel suo villaggio, né in tutto il suo mondo, così fitta come in quella strada. E così varia: certi adulti a malapena della sua statura, altri perfino più alti dei giganti muscolosi che combattevano al Caltess. Alcuni scuri, la pelle nera come l’inchiostro, altri di un biondo quasi bianco e così pallidi che se ne vedeva ogni vena azzurrata, più tutte le sfumature intermedie.
Attraverso i vicoli che salivano fino al viale, Nona vide un mare di tetti dalle tegole di terracotta, irti di mille comignoli da cui si levavano volute di fumo. Non si era mai immaginata un posto tanto grande, tanto stipato di gente. Dalla notte in cui il mercante di bambini l’aveva portata a Verity con i suoi altri acquisti, Nona non aveva visto quasi nulla della città; soltanto la sala da combattimento, l’edificio che ospitava i lottatori e le palestre d’allenamento. Il tragitto sul carro fino a Harriton aveva offerto appena qualche scorcio fuggevole [...]
«Passiamo di qua.» La badessa posò la mano sulla spalla di Nona e la indirizzò verso gli scalini di quello che sembrava un tempio sostenuto da pilastri, con il grande portone spalancato, le ante incastonate di centinaia di cerchi di bronzo. I gradini erano così ripidi da far dolere le gambe a Nona. Alla sommità, le attendeva un atrio cavernoso, rischiarato da finestre alte, ogni metro quadrato zeppo di bancarelle e gente a caccia di buoni affari. Il clamore degli scambi, echeggiando amplificato sotto le volte di marmo, si diffondeva dall’entrata come una cacofonia di lingue diverse. Per svariati minuti non ci fu altro che rumore e colore e pigia-pigia. Nona si concentrò sulla necessità di colmare il vuoto che la badessa si lasciava dietro avanzando, prima che qualche altro corpo potesse occuparne lo spazio. Alla fine, si inoltrarono per un corridoio fresco da cui emersero su una strada più tranquilla alle spalle del mercato coperto.

La strada di Nona non è stata facile, ma non voglio anticiparvi nulla di quello che emerge dai suoi ricordi mentre la giovane si avvicina alla sua meta; passerò direttamente al cuore: il Convento. 

L’ultimo scorcio di sole era sospeso sull’orizzonte mentre la Badessa Glass guidava il gruppetto verso una singolare foresta di pilastri di pietra, con le loro ombre che si estendevano sulle rocce per centinaia di metri in direzione della loro meta. [...]
L’altopiano, praticamente un enorme lastrone di roccia, si restringeva formando una lingua di terra, prima di riallargarsi in un promontorio. I pilastri sorgevano su quell’istmo, attraversandolo da un dirupo all’altro, a file di decine su colonne di centinaia. La Badessa Glass aprì loro la strada, seguendo un tragitto che sembrava scelto a casaccio. Tutto attorno a loro, i pilastri, alti più degli alberi, si protendevano verso il cielo che andava scurendo. Il luogo era immerso in uno strano silenzio; il vento non trovava appigli per fischiare il suo motivo, limitandosi a smuovere polvere e sabbia in mezzo alle torri di pietra tagliata. A Nona piacque.
I pilastri delimitavano da un lato il Convento della Dolce Misericordia, e dall’altro i cigli di due strapiombi andavano a formare una ripida convergenza. La cupola principale si stagliava nera contro il cielo violaceo, con una decina e più di edifici esterni visibili su entrambi i lati.

[...]
L’oscurità aveva inghiottito alle loro spalle l’altopiano spazzato dal vento. Nona si volse indietro a scrutare il sentiero su cui l’avevano condotta le suore, i pilastri ormai invisibili. Accaldata dalla salita, ora sentiva le dita gelide del vento del Corridoio penetrarle attraverso la tunica da Caltess, portandole via il poco tepore residuo. Recava con sé un odore salmastro, forse dal mare, anche se distava miglia e miglia. Nona rabbrividì, si serrò le braccia attorno al corpo e andò dietro alle monache. Sul retro della cupola si estendeva un edificio lungo e basso, come la coda di un ghiro rannicchiato a terra. Suora Apple si fermò dinanzi a una porta robusta sotto il colmo di un tetto di tegole. Una lanterna pendeva da un gancio, spandendo luce a sufficienza perché la suora infilasse la chiave estratta da sotto la tonaca nella toppa dell’uscio.
Suora Apple staccò il lume dal gancio per regolare lo stoppino. «Queste sono le celle delle monache.» Tenne bassa la voce.


C'è una parte molto interessante che mi ha affascinata immediatamente, che compare durante la prima lezione di Nona, quando, ahimè, arriva in ritardo e si trova davanti un oggetto strano che attira immediatamente la sua attenzione. Un qualcosa che noi potremmo riconoscere, ma non come viene presentato, e con una storia alle spalle che si spera di scoprire molto presto: 

Nona si avvicinò alla cattedra. Vi era posato tutto un assortimento di oggetti intriganti, tra cui tre libri rilegati in pelle e un voluminoso registro con accanto una penna d’oca e un calamaio. Soprattutto, la incuriosirono un teschio di cane, un cristallo trasparente lungo quasi due spanne e troppo largo per chiuderci attorno la mano, e una sfera bianca lucida posata su una base d’ottone. Quest’ultima calamitò la sua attenzione finché non ci si ritrovò accanto, urtando la scrivania con le ginocchia. 
«Questa cos’è?» Nona posò il dito sullo smalto bianco della palla, scoprendola ruvida al tatto, con dei minuscoli rilievi che catturavano la luce. Era poco più grande della sua testa e perfettamente sferica. Un supporto la sosteneva di sopra e di sotto, permettendole di ruotare. E tutto attorno alla parte centrale, come una cintura, c’era una sottile striscia colorata, non più spessa di un pezzo di spago.
«Non toccare! Sai come si arrabbierebbe la Maestra di Accademia!» Clera fece scansare Nona con una gomitata e subito contravvenne alla sua stessa raccomandazione, facendo girare l’oggetto sui perni. «È il mondo, tonta.»
«Il mondo?» Il concetto le parve del tutto insensato.
«Abeth.» Clera esalò un sospiro esasperato, come se la stupidità di Nona l’avesse colpita allo stomaco. «Un modellino.»
Nona sbatté le palpebre. Il suo mondo era stato il villaggio, le foreste, i campi, e in lontananza il ghiaccio settentrionale che formava una parete del Corridoio. Non aveva mai pensato che potesse avere una forma, e se mai l’avesse pensato, non si sarebbe mai immaginata una palla, bianca o altro che fosse.
«È un globo.» Clera allungò la mano per farlo smettere di ruotare. 
«Noi viviamo… qui.» Posò il dito sulla linea attorno al centro.
«Davvero?» Nona si piegò in avanti per osservare più da vicino.
«Vuoi vedere qualcosa di speciale?» chiese Clera, sogghignando. Senza attendere una risposta, mise una mano sulla sommità del globo e l’altra sotto, poi, con il minimo sforzo, fece ruotare le due metà in direzioni opposte. La parte inferiore della superficie bianca cominciò a ritrarsi senza resistenza né rumore. Nona scoprì che la sfera non era un unico pezzo come si era immaginata, ma era composta da una quantità di lamelle che scivolavano una sotto l’altra come le penne di un’ala che si ripiega. Di conseguenza, la sottile striscia di colore che ne cingeva il centro si allargò, dapprima ampia quanto un dito, poi sempre più larga, finché l’intera mano di Nona non avrebbe potuto coprirla. Il disegno di gemme smaltate blu e verdi e marroni le incantò lo sguardo.
«Cosa…»
«Questo è il mondo com’era cinquantamila anni fa, molto prima che arrivassero le tribù.» Clera ruotò lentamente le due metà in senso inverso e il ghiaccio crebbe di nuovo. 
«Tutta la gente che viveva su quelle terre ne è stata scacciata.» Riportò le calotte di ghiaccio alla posizione originaria. 
«Costretta a vivere dentro a questo corridoio minuscolo, mentre il sole diventava sempre più vecchio e debole.»
«Come facevano a entrarci tutti?» Nona s’immaginò la gente che fuggiva dai ghiacci.
Clera alzò le spalle. «La Maestra di Lame dice che la gente ha bisogno di spazio. La puoi ammassare fino a un certo punto, poi il sangue comincia a scorrere e quando tutto è finito… c’è di nuovo spazio a sufficienza.» 


Spero di avervi incuriosito e sia riuscita a darvi qualche piccolo spunto per iniziare ad immaginare questo mondo così particolare, seppur "familiare" in un certo senso. Un ambientazione che ricorda il nostro passato, spesso usata nei racconti Fantasy. Ma lascio a voi giudicare se ne regala una traccia che resterà nella mente oppure se sarà solo uno dei tanti sfondi che si confonderanno. 

Vi lascio il banner con i nomi degli altri blog che partecipano all'evento: passate a leggerci!
Ma non sarà finita qui, quindi teneteci d'occhio per saperne di più. 
Tranquilli, non sarà un'attesa lunga. 






Non è ancora l'alba 

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